giovanni-stradano-malebrancheDallo scorso 9 giugno, quando le milizie dello Stato Islamico si sono impossessate di gran parte del nord del paese, l’Iraq è teatro di una tragica e cruenta guerra civile tra sciiti e sunniti.
Dinanzi a quotidiane notizie ed immagini di indescrivibile violenza perpetrata nei confronti di cristiani che rifiutano la conversione, di militari, volontari e reporter sequestrati, di migliaia di donne stuprate, vendute e rinchiuse come polli in gabbia, gli Usa chiedono una coalizione globale contro le milizie jihadiste.
Mentre l’Inghilterra rafforza le proprie misure di sicurezza, il presidente Obama cerca di ridimensionare il terrore provocato dalle minacce islamiche affermando che “il mondo è sempre stato caotico, ora è più visibile perché ci sono i social media”.
Come restare calmi però di fronte a tanta violenza? Come non dar peso al monito del re saudita quando afferma che “entro un mese” il terrorismo minaccerà Europa e Stati Uniti? Stando ai consigli dei leader politici di molti paesi del Golfo, il terrorismo jihadista dovrebbe anzi essere combattuto “con saggezza e rapidità”.
Nonostante la potenza e la rapidità d’informazione dei social media, però, non ci è dato ancora sapere come si cercherà davvero di porre rimedio a tutto questo mentre altre decapitazioni avvengono, altre donne vengono stuprate e altri uomini rapiti spesso per ottenere, in seguito alla richiesta di riscatto, soldi per continuare a foraggiare le armate del terrore. Una sola consapevolezza: “Le porte dell’inferno si sono aperte e sono usciti tutti i diavoli. Il maligno si è scatenato” come ha affermato qualche settimana fa il vescovo ausiliario del Patriarcato di Babilonia e presidente della Caritas irachena, J. Warduni.