Il professore Matassino è una persona garbata e disponibile, che sa assegnare pari valori al microscopico quanto al macroscopico, parla di casualità e finalismo, di legami e coesione universale, di evoluzione e di estinzioni, ma con un filo logico e armonico che è piacevole e semplice seguire. Nella nostra lunga conversazione i contenuti del suo discorso non assumono mai toni cattedratici: il professore preferisce il dialogo de visu, sa riunire e coordinare i suoi saperi, sa creare lo stupore con le sue parole, dà l’impressione di poter trovare una soluzione per ogni problema, di porsi umilmente come cooperatore di un progetto universale, ma anche di far parte del progetto e di farsi plasmare fino a trasformarsi in un attento e disponibile oggetto del creato. Non gli pongo tutte le domande che avevo preparato, perché il suo discorso è fluido e interessante, continuo, toccando tutte le tematiche previste. Si nota nel suo parlare di geni, proteine, enzimi, batteri fino all’uomo una profonda e sacra consapevolezza di un disegno superiore, e la parola dell’uomo ne rappresenta lo strumento attraverso il quale vi è la rivelazione.
Cominciamo con parlare di biotecnica
“Quando si fa il pane si applica una biotecnica, cioè una tecnica di fermentazione della farina grazie ai fermenti presenti nel famoso criscito o lievito madre, che veniva trasmesso da famiglia in famiglia, anche a volte da generazione in generazione e in questi passaggi il criscito si arricchiva di biodiversità, di lieviti diversi, che conferivano al pane un sapore unico. Il pianeta terra è gestito dal microbioma, l’insieme dei microrganismi che gestiscono tutta la vita dell’uomo e ne permettono tutti i processi”
La clonazione potrebbe risolvere alcuni errori operati dall’uomo, come l’estinzione di specie preesistenti e quindi il successivo reinserimento nel loro ambiente naturale?
“La clonazione ormai è un processo definito e consolidato, nei laboratori viene continuamente ottenuto il clone di animali che hanno soprattutto importanza in agricoltura: l’azione dell’uomo sul paesaggio naturale deve porsi come obiettivo primario il raggiungimento di finalità utili all’umanità, mantenendo un equilibrio armonico tra le forze umane e quelle naturali. Il futuro della terra è legato a quello dell’uomo in maniera inscindibile, in quanto l’evoluzione umana, intesa come evoluzione socio-culturale, porterà a un’evoluzione molto più macroscopica, che includerà l’universo intero. Questo concetto, non intende negare l’evoluzionismo darwiniano, anzi abbraccia ambiti più vasti, praticando un parallelismo indissolubile tra l’evoluzione del pianeta terra e l’evoluzionismo antropico. L’uomo quindi come responsabile fondamentale, il principe dei cambiamenti, non osservatore statico e passivo, ma costruttore, curatore e amministratore sensibile alle istanze e ai messaggi che la natura stessa gli trasmette. La conflittualità uomo-natura ha sempre portato a eventi catastrofici, mentre la valutazione della vita quotidiana dell’uomo e dell’ambiente, intesa come miglioramento dei reciproci stati di salute, ne migliorerà il rapporto e soprattutto la conservazione dell’agrosistema naturale, senza rinunciare a comportamenti antropici necessari”
Si auspica quindi un‘integrazione completa dell’uomo e della natura, per il raggiungimento di un perfetto matrimonio consensuale?
“Questo equilibrio armonico non può rimanere un bel quadro da ammirare: tra l’uomo e la natura vi sono degli obiettivi pratici e comuni da raggiungere, un vero e proprio progetto di realtà da organizzare. In questa visione del binomio uomo-natura si inseriscono alcune tecniche, ormai collaudate ampiamente da decenni, di incroci di specie domestiche primitive provenienti da un determinato antenato. Per molte specie ormai estinte, più che utilizzare il DNA della specie, gli scienziati sono ricorsi alla manipolazione dei geni contenuti in specie affini agli animali estinti. Un sistema simile è stato usato per ricreare il bovino Uro, scomparso circa 400 anni fa dalle foreste polacche. Ma nessun clone potrà mai essere simile alla cellula di provenienza, proprio per i fattori ambientali. Già Democrito, con il suo “atomismo” aveva intuito che tutti gli esseri viventi sono un continuo di aggregazione e di disaggregazione di atomi, variabile con l’ambiente. Oggi la chiamiamo epigenetica”.
Sento che il professore, con la solita competenza scientifica, mi introduce senza molti preamboli, ma in un continuum equilibrato, in un mondo di codici, di genetica, di ambiente e di epigenetica, dopo aver fatto una sosta alla filosofia greca con Democrito.
“L’epigenetica è lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione del DNA, senza che si verifichino variazioni nella sequenza stessa. La differenza che passa tra epigenetica e genetica è la stessa che passa tra scrivere un libro e la lettura dello stesso. Il libro scritto rappresenta i geni e le informazioni contenute nel DNA, perfettamente uguali in ogni copia, come il libro è uguale in ogni copia distribuita, ma una volta in mano al lettore, l’interpretazione dei contenuti può subire variazioni. L’epigenetica quindi è la variazione di un modello fisso, dei cambiamenti ereditabili nell’espressione del DNA, dovute a variazioni chimiche, ambientali, senza variazioni nella sequenza del DNA stesso”
Il paesaggio svolge un ruolo insostituibile nel favorire il benessere e la gestione intelligente del bioterritorio è finalizzata al raggiungimento di traguardi ottimali di benessere fisico, psichico e sociale della persona. E quindi lei parla di orti urbani, di sviluppo sostenibile, di biodiversità, tutti temi che andrebbero largamente discussi.
“Siamo in una fase storica caratterizzata da forti, profondi e repentini cambiamenti che accentuano le speranze e le angosce dell’umanità. Il rapido progresso delle innovazioni dei processi produttivi e dei prodotti stessi sono portatori di grande fascino e di potenzialità enormi, ma anche di nuove problematiche e di grande difficoltà di adattamento. Bisogna individuare percorsi innovativi che conducano a una vera e propria gestione intelligente di un bioterritorio per la realizzazione di una sostenibilità globale. Il pianeta terra deve essere considerato un macrorganismo, capace di autoregolazione e di mantenimento dinamico delle condizioni necessarie alla propria sopravvivenza. Con il termine sostenibilità si vuole indicare uno stile di vita, un modo di produrre, che tenga conto sia dei pericoli che derivano per la sopravvivenza dell’uomo, sia per un uso sconsiderato della natura. Negli anni ’70 nasce il concetto di bioetica, cioè una relazione armonica tra l’uomo e la natura, un percorso etico in cui i programmi politici siano orientati verso le problematiche ambientali. Lo sviluppo sostenibile può essere garantito solo attraverso il rispetto dell’ambiente, il raggiungimento di una pace internazionale e con la lotta alla povertà. Un obiettivo molto alto e faticosamente raggiungibile”
Mi ha incuriosito soprattutto, dei suoi studi e delle sue ricerche la cromoantropologia, cioè l’importanza dei colori nel paesaggio e la loro disposizione, per il loro effetto ristorativo non solo, ma anche di evocare stupore e meraviglia. Dai nostri sguardi, a volte assenti e abituati, è sparita la capacità di stupirsi. Ma già gli assiro-babilonesi costruirono le torri a sette piani dette ziqqurat, sette come i pianeti a ognuno dei quali è associato un metallo e un colore. Progetto realizzabile o utopia?
“Esiste una vera e propria concezione della geografia della salute in cui la persona, il bioterritorio e il regime alimentare rappresentano fattori imprescindibili e che prevedono una reciprocità e una integrazione tra campagna e città. Un aspetto importante è rappresentato dagli orti urbani e dagli orti sociali, con “l’agricoltura urbana” e nel ripristino della reciprocità e della integrazione tra campagna e città. Gli orti erano presenti già nei secoli scorsi in tutta Europa, decrebbero nel dopo guerra, ma oggi sono considerati espressione di modernità e di ricerca di un nuovo stile di vita. Il beneficio degli orti urbani non riguarda soltanto il prodotto biologico, ma ad esempio questa tecnica viene praticata negli ospedali a supporto di numerose terapie mediche. Il benessere fisico che scaturisce dal paesaggio è il frutto di tre azioni: abitare, esplorare, contemplare. Importante è quindi ripristinare le aree verdi, creare manufatti ed edifici di colore blu dal notevole potere ristorativo, scientificamente provato e ancora edifici architettonici differenti e cromaticamente variegati L’effetto ‘ristorativo’ della ‘policromia’ è associato alla ‘bellezza’ intesa come capacità di evocare stupore o meraviglia nell’osservatore. H.U. Balthasar afferma: «… non è la ‘bellezza’ ad averci abbandonato, siamo noi che non siamo più in grado di vederla» Nella nostra società moderna si è avuta la scomparsa dello ‘stupore’, perché il nostro sguardo è abituato e distratto. Ritorniamo alla bellezza dunque, quella invocata anche da S. Agostino, “la bellezza radiosa del sole mattutino e la bellezza pudica del sole alle prime luci dell’alba”, perché il bello è più propriamente custodito nel silenzio, “perché non cattura ma evoca, perché non pretende ma invoca e non sazia ma provoca”.
Lidia Santoro per CorriereSannita