In occasione della fiera ‘Set Up’, grande richiamo per espositori, visitatori e ospiti del panorama culturale e artistico italiano e internazionale, abbiamo chiacchierato con Mario Ferrante, artista sannita ma con un vissuto in Brasile, presente anch’egli alla manifestazione con alcune sue opere. (Ricordiamo che la fierà sarà aperta al pubblico dal 23 al 25 gennaio dalle 17.00 all’1.00, la domenica dalle 14.00 alle 22.00)
Durante il piacevole incontro con il maestro abbiamo chiesto quale fosse il segreto di questa sua grande creatività, che non può essere solo scuola ma deve essere anche sensibilità personale. L’artista ci ha risposto: “Io credo che, come dico a tutti gli allievi, il nascere artista è assolutamente un dono di natura, nel senso che non lo si può ottenere. Con tanta tecnica si può realizzare un bel quadro, ma non un’opera d’arte; viceversa, se non si ha tecnica ma si è artista, si farà sicuramente un’opera d’arte, brutta magari, ma opera d’arte. Quindi essere artista significa avere la necessità, come respirare, di esprimersi e, più si cresce, come nel mio caso, più la necessità è impellente. Il mio rapporto con i miei colori, con il mio studio è come quello di un drogato con la sua droga. Se non vengo in studio ogni giorno, fisicamente sto male, è un’esigenza psicofisica, divento irascibile se non odoro i miei colori almeno due ore al giorno. E poi si arriva alla sintesi, come nei bambini, come diceva Chagall ‘ho vissuto 80 anni per dipingere come un bambino di otto’. Quindi è la riacquisizione di quell’innocenza infantile che, nell’artista maturo, diventa verginità riacquisita e quindi più preziosa e più bella”.
Abbiamo poi parlato dei suoi ricordi del Brasile, paese in cui è vissuto negli anni della prima infanzia e, a questo proposito, il maestro si è lasciato andare al racconto di un episodio molto intimo e tenero. Ci ha detto che in macchina ascolta solo musiche brasiliane e tornando qualche giorno fa da Foggia, dove aveva partecipato ad un convegno, ascoltava l’inno nazionale di quel paese. Ad un certo punto si è ritrovato con gli occhi umidi e istintivamente ha portato la mano al cuore. A quel punto, il maestro si è detto: “Sono brasiliano” e chiedendosì il perchè del suo stato d’animo, Ferrante ci ha poi spiegato che: “In realtà so che quando una persona diventa molto anziana tende a cancellare i ricordi più recenti per lasciar riaffiorare quelli più antichi. A me sta capitando… ormai mi sto avvicinando ai 60 anni e riaffiora prepotentemente il Brasile e mi accorgo di essere brasiliano nella mia formazione psicofisica. Prima parlavamo di odori e colore a me manca l’odore delle favelas, che molti dicono essere puzza, mi manca l’odore di alberi, del sudore pulito tipico di chi abita nelle favelas, perché paradossalmente chi le abita è poverissimo, ma pulitissimo, lì c’è un forte senso di dignità che noi non abbiamo più. Noi copriamo la puzza con i profumi, loro invece usano l’acqua”. Un quadro dell’artista, ora in collezione privata, rappresenta appieno il ‘suo Brasile’. Il titolo dell’opera è ‘Negro no coração’, ‘negro nel cuore’; in essa è raffigurato Tomà, ragazzo brasiliano che viveva sulla spiaggia, quando il maestro l’ha conosciuto. “Che ricordi! Che dignità! Dignità che solo le persone molto semplici possono avere” – racconta il pittore. “L’artista man mano che invecchia diventa sempre più bambino. – prosegue – per esempio è nota la foto di Picasso che a 90 anni giocava a fare il torero con i mutandoni. Si riacquisisce la voglia di giocare. Penso a tutti gli artisti anziani che hanno cominciato a giocare seriamente, basti pensare a Monet, i cui ultimi quadri erano una macchia, dei giochi colorati”.
A proposito dei colori poi abbiamo chiesto a Ferrante come mai alcune sue produzioni presentassero colori molto scuri ed altri, invece, colori molto chiari, quasi come come se non appartenessero alla stessa mano. “Quando sono venuto in Italia – ha risposto il maestro – sono stato rapito dalla cultura europea e il mio primo amore artistico sono stati Leonardo e Caravaggio, tant’è che i miei primi lavori erano ricalcare e sfogliare Caravaggio per potermi porre, come lui, la sfida della luce. Il Cristo poi è un soggetto che ha costellato la mia vita, al punto da essere definito da qualcuno il ‘pittore di Cristi’. L’immagine è sempre la stessa è quella riferita da Isaia, ‘l’uomo dei dolori’, perché sono affascinato da quelle parole, forse perché essendo vissuto in un paese che era poverissimo, il dolore, anche se vissuto diversamente, era molto più vero, meno plateale, ma anche più intimo. Mi accorgo, però che non c’è un Cristo uguale all’altro, perché il dolore cambia in base anche alla propria esperienza personale”.
In conclusione abbiamo chiesto al maestro come nasce la sua collaborazione con l’associazione ‘Cosmoart’, con la quale è presente a Bologna. “La collaborazione – ci dice – è nata da un’altra mente illuminata e illuminante che è Augusto Ozzella, il quale con la sua associazione culturale ha voluto cimentarsi anche come imprenditore d’arte. Rischiando in proprio, Ozzella ha preso uno stand a Bologna, ed ha presentato un progetto di tre artisti che ripropongono un ripristino delle arti in risposta alle ultime avanguardie. Alcune sono molto serie, ma altre, secondo me, degli autentici imbrogli. Ozzella, dicevo, ha presentato tre artisti che, pur facendo discorsi molto diversi tra loro, seguono con rigore lo studio cromatico, lo studio di una composizione artistica, lo studio dell’arte. Persone diverse quindi, ma accomunate da una ricerca”.
Prima di salutarci, felice per l’intervista, il maestro ha accennato ai suoi progetti futuri: “Bologna aprirà la via ad un’ltraa grande mostra che si terrà, fra aprile e maggio, in una delle gallerie più importanti di Istanbul. Sarà per me una importante esperienza perché mi offrirà la possibilità di confrontarmi con una delle città che più si sta aprendo all’arte occidentale. Spero che la tappa di Istanbul sarà l’avvio per un discorso verso i paesi dell’est. Dopo Istanbul, infatti, quasi certamente ci sarà San Pietroburgo, altra realtà importantissima. Ma vorrei che il tour si concludesse a Rio, dove sarò presente a luglio invitato, con altri artisi, in occasione dei festeggiamenti dei 50 anni di carriera di Maria Betania che è una grandissima cantante, sorella di Gaetano Veloso.
Abbiamo concluso la nostra chiacchierata con una domando provocatoria, ma nemmeno tanto, che il maestro ha accolto con un sorriso: “Perché ‘nemo propheta in patria’?” Ci ha risposto: “Perché quello che è troppo facile non ci interessa”.