senatoLa riforma del Senato della Repubblica è stata approvata, lo scorso venerdì 8 agosto, in prima lettura a Palazzo Madama con 183 voti a favore, l’opposizione, (Sel, Lega Nord, Movimento 5 stelle, Gal) non ha partecipato al voto. Dopo settimane di polemiche e scontri, i senatori hanno detto il primo sì al disegno di legge del ministro per le riforme Boschi. Si tratta di una riforma che rivoluziona l’attuale assetto costituzionale, a partire dal tramonto del bicameralismo perfetto per finire all’elezione di primo grado dei senatori. Il disegno di legge modifica radicalmente il titolo V della Costituzione, eliminando l’odiosa legislazione concorrente. Ora il disegno di legge, per diventare legge, dovrà prima passare alla camera per altre tre letture e poi di nuovo al senato. Esiste anche la possibilità che sia sottoposto a un referendum popolare confermativo. Nei 40 articoli del testo Boschi sono presenti anche diverse norme che vanno nel solco del risparmio, dalla fine delle indennità per i senatori, alla norma sullo stop a tutti i “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari ai gruppi politici presenti nei consigli regionali”, fino al tetto per gli stipendi per i consiglieri regionali.

Proviamo dunque a riassumere le novità introdotte dal testo.

Nuovo Senato. I senatori saranno eletti dai consigli regionali in numero di 100, a fronte degli attuali 315. 95 saranno i rappresentanti delle istituzioni territoriali (74 consiglieri regionali e 21 sindaci) ed altri cinque senatori saranno nominati dal presidente della repubblica. La durata del mandato dei senatori coinciderà con quella degli organi delle istituzioni territoriali. Il loro mandato durerà sette anni. I nuovi senatori conserveranno l’immunità parlamentare. Il senato inoltre non sarà più un organo legislativo con pieni poteri, potrà votare solo per riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali, leggi sui referendum popolari e il diritto di famiglia, il matrimonio e il diritto alla salute. La camera quindi potrà approvare delle leggi senza che siano approvate anche dal senato. E sarà l’unica assemblea legislativa a votare la fiducia al governo.

Riforma del Titolo V, ovvero di quella parte della costituzione che regola le attività di comuni, province e regioni. La riforma aumenta le competenze dello stato su materie come l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, l’organizzazione dei servizi sanitari, la mobilità e le infrastrutture. Sarà permesso anche il commissariamento di regioni ed enti locali in caso di dissesto finanziario.

Riforme delle regole riguardanti i referendum abrogativi. Attraverso la modifica dell’articolo 75 della Costituzione, le riforme introducono un doppio quorum. Per essere valida, quindi, la consultazione avrà bisogno di 500mila firme e della partecipazione della maggioranza degli aventi diritto, oppure di 800mila firme con la partecipazione della maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della camera.

Modifica dell’elezione del presidente della Repubblica. Il capo dello stato sarà votato dai deputati della camera e dai 100 senatori. Dopo il quarto scrutinio sarà sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dopo l’ottavo scrutinio basterà la maggioranza assoluta.

E’ possibile, inoltre, che dopo l’approvazione del testo si passi ad applicare anche altre norme quali la soppressione del ‘Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro’. Sarà forse anche messo un tetto agli stipendi di presidente e consiglieri regionali che non dovrà mai superiore a quello dei sindaci dei capoluogo di regione.

A tal proposito, Fioravante Bosco, segretario generale aggiunto della Uil Avellino/Benevento, afferma che: “Le riforme costituzionali vanno fatte poiché il Paese è ingessato e la burocrazia uccide chiunque si metta a capo di un’impresa. Però, a cosa serve la riforma del Senato se il problema principale del Paese è quello di stimolare la crescita ed evitare, già in autunno, una manovra correttiva? Nessun componente del governo Renzi, sinora, ha saputo rispondere a questo quesito. Spero che al risveglio dal torpore Renzi si renda conto che per recuperare, almeno in parte, il Pil perso e l’oltre milione di posti di lavoro andati in fumo negli ultimi cinque anni, c’è bisogno di provvedimenti choc e non di inutili brodini. Si agisca sulla diminuzione delle tasse sul lavoro – conclude Bosco – e si faccia piazza pulita di sperperi ed enti inutili nella pubblica amministrazione. C’è bisogno di certezza dei procedimenti e di una burocrazia che sia davvero al servizio del Paese, delle imprese e dei lavoratori”.