La stima preliminare dell’Istat di ieri è una nuova doccia gelata per la crescita già anemica dell’Italia. Dai dati trasmessi si evince che la flessione è stata pari a -0,2% rispetto al trimestre precedente. Su base annuale la flessione è pari a -0,3%. Dopo due trimestri consecutivi col segno meno del Pil, l’Italia tecnicamente ritorna in recessione.
Il calo congiunturale, spiega l’Istat, è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto in tutti e tre i grandi comparti di attività economica: agricoltura, industria e servizi. Dal lato della domanda, il contributo alla variazione congiunturale del Pil della componente nazionale al lordo delle scorte risulta nullo, mentre quello della componente estera netta è negativo. Il secondo trimestre del 2014 ha avuto una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente e una giornata lavorativa in meno rispetto al secondo trimestre del 2013.
Ad aprile il governo aveva stimato una crescita dello 0,8%, cui sono seguite le revisioni al ribasso di Ocse, Fmi e Bankitalia. “E’ evidente che non conseguiremo l’obiettivo previsto”, dice il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, che nega la necessità di una nuova manovra per il 2014 ma, afferma “sarà più dura nel 2015-2018”. Tali dati preoccupano anche l’Ue secondo cui “ci sarà un impatto negativo sui conti pubblici” con possibili ripercussioni sul tetto del deficit.
Fioravante Bosco, segretario generale aggiunto della Uil Avellino/Benevento, a tal proposito, cita un vecchio e saggio proverbio popolare: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. “Ancora una volta – dice – un dato negativo sull’economia italiana: il Pil si conferma in calo. E’ il dato peggiore che ci si poteva aspettare ed è il più basso dal 2000. Siamo in recessione tecnica. Il governo Renzi deve prendere atto che la prima emergenza è quella economica, si rischia veramente di cadere nel baratro. Purtroppo non sono i palliativi che possono risolvere il problema, né possono essere ancora accettate le politiche di austerity, né le imposizioni europee. E’ arrivata l’ora di assumere provvedimenti che ci facciano uscire velocemente da questo stato di cose che sta depauperando molta ricchezza del Paese e sta ridimensionando il nostro settore produttivo”. “E’ ora di pensare – conclude Bosco – ad una programmazione reale per definire interventi atti a cambiare le cose. Non andrebbe abolito il Senato, andrebbero cancellati i mille consiglieri regionali e le stesse regioni, che in questi quarant’anni hanno determinato lo sfascio del Paese. E poi le tasse: con gli oboli attuali nessun imprenditore è invogliato ad assumere. Ci vuole una moratoria di almeno cinque anni, durante i quali, a fronte di nuove assunzioni, ci deve essere una drastica diminuzione delle tasse. E’ ora di agire. Il Paese non può più attendere”.