Il delicato tema dei riposi giornalieri durante il primo anno di vita del figlio, previsti dal Testo Unico sulla maternità e paternità (decreto legislativo n. 151/2001), è stato nuovamente sottoposto all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato della nostra Repubblica. In particolare, si è esaminata la possibilità, per il dipendente pubblico, di godere comunque dei riposi anche nel caso in cui la moglie sia una casalinga, situazione non espressamente prevista dal Legislatore nel citato Testo Unico.
Le norme di riferimento, ossia gli articoli 39 e 40 del Testo Unico, così dispongono:
- Art. 39 riposi giornalieri della madre: “Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. I periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. I periodi di riposo sono di mezz’ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.
- Art. 40 riposi giornalieri del padre: “I periodi di riposo, di cui all’articolo 39, sono riconosciuti al padre lavoratore nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; in caso di morte o di grave infermità della madre”.
La soluzione ribadita dai giudici è che il diritto è riconosciuto anche se la madre è casalinga e, quindi, assimilabile a una lavoratrice non dipendente. Infatti, poiché la norma è palesemente rivolta a dare sostegno alla famiglia e alla maternità, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la possibilità per il padre di beneficiare di permessi per la cura del figlio, allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente ma impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura e all’educazione della prole.
“E’ una sentenza importante – commenta Fioravante Bosco, segretario generale Uil Avellino/Benevento – poiché i giudici hanno riconosciuto che lo spirito della norma è quello di dare sostegno alla famiglia e alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale posta dalla Costituzione. In tal senso occorre garantire al padre i permessi per la cura del figlio anche quando la madre non abbia diritto ai permessi stessi perché casalinga. In questo modo si fa definitivamente strada l’assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice dipendente. Dapprima, infatti – conclude Bosco – il beneficio dei permessi spettava al padre esclusivamente nel caso in cui la madre non fosse stata lavoratrice dipendente, prevedendo tutte le ipotesi d’inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente della madre, comprese quindi la situazione della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita come, appunto, la casalinga”.