La vittoria a valanga del Pd alle elezioni europee e amministrative porta a compimento un progetto politico di partito egemonico. Un processo che nel suo sviluppo ricorda l’epopea dell’Impero mongolo. Gengis Khan è passato alla storia per essere stato il condottiero ad aver costruito il più vasto impero di sempre dopo aver unificato tribù litigiose. Mutatis mutandis è quanto hanno fatto Matteo Renzi a livello nazionale e Umberto Del Basso De Caro nel piccolo regno sannita.
Quest’ultimo, pur senza essere mai diventato renziano, ne ha anticipato le strategie. La ricetta è più o meno la seguente: prendi un partito dalle grandi potenzialità, ma con troppa zavorra, e riduci a minoranza gli avversari interni. Poi costruisci una nuova dirigenza fedele al leader e aspetta che gli altri saltino sul carro. Fino a qui le similitudini, ma De Caro ha avuto il campo libero anche grazie all’uscita volontaria dei dissidenti più accesi. Se qualche mal di pancia ancora persiste, è come il fuoco sotto la cenere: caldo ma non divampante. Tanto è vero che durante gli scontri aperti in assemblea provinciale il gruppo beneventano si è scagliato contro il segretario Mortaruolo, che ha reagito da ottimo incassatore. L’avvocato penalista ha assecondato e incanalato persino il renzismo, ponendosi allo stesso tempo come “conservatore” e “innovatore”, scelta che gli è valsa la nomina a sottosegretario di un ministero di peso. Ha mantenuto il controllo di tutte le tribù piddine costruendo rapporti stretti con i capi.
Nel resto del campo è rimasto ben poco. La sua principale spina nel fianco, Nunzia De Girolamo, ormai non ha più sufficiente peso politico. Il risultato di Ncd (che sommava anche l’Udc) nel capoluogo è eloquente. Lo striminzito tre e mezzo mette all’angolo l’ex ministro. L’unico avversario reale, in grado di muovere ancora truppe, è Clemente Mastella. Ha portato la bandiera malconcia di Forza Italia quasi al 28%, ma il partito di Berlusconi è una polveriera pronta ad esplodere. In ogni caso il destino è segnato: se Mastella resta dov’è, sarà lui il kingmaker del centrodestra. È lui l’unico in grado di ricostruire un’area politica e affrontare l’Impero del Pd.
Ma una forza così preponderante carica su di sé anche tutte le questioni aperte. Da un grande potere deriva una grande responsabilità, diceva un famoso supereroe. E sulle spalle del Pd egemone ci sono tutti i problemi irrisolti del Sannio. Ad oggi il Pd può contare su: un sottosegretario, un consigliere regionale, il commissario della Provincia, il sindaco del capoluogo, le amministrazioni della gran parte dei Comuni (compresi quelli più grandi), la dirigenza di aziende pubbliche come Asia, Gesesa, Alto Calore, Amts, Samte, Asi, Sannio Europa, Asea. Manca solo la sanità, ma lì a decidere è la Regione fino a quando ci sarà Stefano Caldoro.
Con un tale spiegamento di forze il Pd dovrà dare risposte su questioni vitali per l’economia e la qualità della vita nel Sannio. Riassumendo a spanne: raddoppio della Telesina, potenziamento del trasporto ferroviario, salvaguardia delle aree industriali in sofferenza, sostegno allo sviluppo del settore agricolo, avvio del nuovo ambito provinciale per la gestione dei rifiuti (dalla raccolta agli impianti), bonifica post mortem di discariche ed ecoballe, completamento della depurazione a Benevento e non solo, risanamento dei fiumi, valorizzazione turistica dell’immenso patrimonio artistico e culturale, mitigazione all’attraversamento dell’elettrodotto Terna sulla città, controllo dello sviluppo senza freni della produzione elettrica. E a tutto si aggiunga come comun denominatore il drammatico dato della disoccupazione.
Dopo la conquista di una terra sconfinata pare che Gengis Khan abbia detto: “L’impero fu conquistato a cavallo, ma non si può governare a cavallo”.