Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa nota inviata dal direttore della Caritas Diocesana, don Nicola De Blasio,, dal direttore dell’ufficio Migrantes, don Sergio Rossetti e dal presidente della cooperativa sociale ‘Il Melograno’, Angelo Moretti, in relazione alla protesta messa in atto da alcuni migranti ospitati a Benevento e Roccabascerana per un ritardo di pochi giorni, nell’erogazione dei pocket Money:
“Gentili redazioni locali,
i fatti incresciosi accaduti a Benevento e Roccabascerana, nel Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo della Caritas Diocesana di Benevento e del Comune di Roccabascerana, chiedono innanzitutto un chiarimento e successivamente un commento. Il chiarimento concerne i diritti degli immigrati accolti: sono tutti rispettati e fruiti quotidianamente, senza tema alcuna di poter essere smentiti.
Il loro progetto prevede la strutturazione di percorsi individualizzati di integrazione ed orientamento legale e sociale, nonché la formazione e l’inserimento lavorativo. Nel nostro Sprar da marzo 2014 sono passati oltre 60 beneficiari e tutti hanno potuto godere di scuole di italiano, orientamento legale, mediazione linguistica, avviamento professionale al lavoro. Tanto che almeno 15 di loro hanno ottenuto un titolo professionale italiano, altri hanno conseguito la patente di guida italiana, altri hanno trovato una collocazione lavorativa o percorsi di tirocinio formativo in azienda. Tutti sono stati preparati ed accompagnati ad affrontare la commissione territoriale del Ministeri dell’Interno che vaglia le richieste di asilo politico in Italia. Tutti ovviamente, in questi 16 mesi di lavoro straordinario di operatori sociali dediti con passione al proprio servizio, hanno avuto garantiti il vitto, l’alloggio, il pocket Money ed i fondi per l’acquisto di vestiti.
Ma accogliere le persone di altra etnia, terra, cultura, non è cosa facile per chi lo fa sul campo e non dietro una scrivania. E così può accadere che cinque facinorosi di fronte ad un ritardo di due settimane per il ritiro del pocket Money, pur nel continuo funzionamento globale delle strutture, pensino di organizzare una protesta coinvolgendo gli altri ospiti. A Roccabascerana addirittura cercando in maniera improvvisata ed imprevista di aggredire gli operatori sociali e di minacciarli. Operatori colpevoli, nella mente dei facinorosi, di non anticipare con propri soldi quello che lo Stato ancora non passa. Succede perché questi nostri fratelli africani possono perdere di vista l’obiettivo, accecati dai bisogni inutili dell’occidente opulento, per cui ti senti morire se non hai una ricarica al cellulare, le sigarette in tasca, i soldi di un caffè. Ed è in questa tensione pedagogica tra il diritto e l’educazione alla responsabilità che vi è il lavoro più complesso non solo di una squadra di operatori di uno Sprar, ma anche di educatori tout court. Oggi il problema dell’educazione al concetto di limite ed alla responsabilità è la prima emergenza pedagogica in occidente, e questi nostri fratelli sono paradossalmente confusi proprio da questa mancanza di educazione.
Essere determinati, ma anche teneri e pazienti, mediare tra la vita possibile di un europeo ai tempi della crisi e della burocrazia e la vita di un africano venuto in Europa con aspettative falsate dalla televisione e dalla pubblicità, tutto questo è il lavoro complesso di un operatore Sprar. Questo è il nostro lavoro quotidiano, non ci tiriamo indietro, come ieri.
Ma abbiamo anche un commento necessario: attenzione a quelle redazioni che senza approfondire le vicende scrivono di diritti negati e pocket Money mai corrisposti. Quelle redazioni soffiano su una confusione che può generare mostri e rabbie incontrollabili. I nostri ragazzi e le nostre donne venute dall’Africa e dall’Asia stanno dimostrando un valore straordinario, tre di loro sono giornalmente impegnati a servire le famiglie indigenti alla mensa Caritas insieme ai nostri volontari, altri si distinguono a scuola, nelle palestre, nelle comunità per la loro intelligenza e simpatia. Poi può accadere all’improvviso di vederli perdere il controllo come degli adolescenti impazziti, ma con il linguaggio diverso di chi ha affrontato la morte per essere qui. Ed in quel momento la comunità tutta deve assumersi la responsabilità di essere una saggia educatrice. I media innanzitutto, che veicolano messaggi alla comunità locale ed alla comunità migrante.
Molti italiani fronte a questi gesti giustificano la propria tendenza a respingere e chiudersi, contravvenendo anche alla nostra spiritualità ed alla nostra carta costituzionale. Altri si posizionano su un buonismo a buon mercato. Ma
decidere di starci dentro ed accogliere è altro, è roba complessa. Significa ascoltare, orientare, educare, non solo assistere. Non c’è una colpa generalizzata o anonima, non c’è una ideologia, ieri ci sono stati giovani che volevano protestare e giovani che hanno commesso reati. Giovani che mentivano e giovani che dialogavano con onestà. Quelli che hanno commesso reati per due settimane di pocket Money non vanno assolutamente giustificati. Per essere orientati ed autenticamente accolti, vanno individuati e responsabilizzati per le azioni commesse. Come sarebbe accaduto per qualsiasi manifestazione europea.
Questa è la nostra linea, ma questa è in definitiva la linea della nostra Costituzione, della carta dei diritti sociali di Nizza ed è la pedagogia del Vangelo che ispira il lavoro degli operatori”.