iannella“Il vino del Sannio è un affare da donne!” Parola di Maria Antonietta Iannella, giovane donna cresciuta tra vigneti e botti, oggi export manager di Cantine Iannella.

D. Il tuo primo ricordo in cantina ?

Non saprei definire un solo ricordo. Da bimba abitavo sopra la cantina di mio nonno, gli odori del vino mi svegliavano ogni mattina e mi accompagnavano per tutta la giornata. Sin da quando ho iniziato a camminare ho preso parte attivamente alla vendemmia sia pur cogliendo solo qualche grappolo per affidarlo alle sapienti mani di mio nonno. La nostra azienda è profondamente radicata al territorio di Torrecuso e alla nostra famiglia. Lo testimoniano i nomi dei nostri vini, ognuno dei quali è legato a persone, eventi, ricordi importanti della nostra famiglia. Ad esempio il 1920, un Aglianico del Taburno dedicato all’annata che ha consacrato l’inizio della nostra cantina ad opera del mio bisnonno Giovanni. Quindi da sempre io sono parte integrante della cantina e di quella meravigliosa esperienza che è la vendemmia.

D. Nelle tue vene scorre aglianico dunque. L’abbinamento preferito che vorresti esportare nel mondo?

Mi definisco una “sommelier sui generis“, nel senso che mi piace sperimentare abbinamenti anche sulla carta non consigliabili. Credo che alcune regole vadano seguite ma poi la fantasia e la curiosità devono prevalere. Alcuni vini rossi possono sposarsi perfettamente con alcune tipologie di pesce, solo per citare un esempio. Il mio sogno però è far provare ai wine lovers di tutto il mondo il nostro Passito di Aglianico con un formaggio stagionato come il pecorino o, per rimanere nelle nostre zone, con il Caciocavallo di Castelfranco in Miscano.

D. Qual è il tuo ruolo in azienda?

Dopo i necessari corsi di formazione – tra cui cito con piacere il Corso da Sommelier e il Corso in Comunicazione delle Imprese Agroalimentari – ho deciso di dare il mio apporto all’azienda di famiglia. Ho iniziato nel 2007 come Responsabile Commerciale per l’Italia ma oggi mi occupo quasi a tempo pieno dell’export dato che le cantine italiane a mio avviso devono guardare sempre di più ai mercati esteri. Mia zia Maria invece si occupa di tutta la parte amministrativa, compito non semplice in quanto oggi in Italia la burocrazia regna sovrana. Mio zio Antonio invece si dedica alla vigna e alla cantina.

D. L’azienda è in mano a due giovani donne. Qual è il valore aggiunto che una donna può dare ad una cantina?

Chiaramente ci sono uomini e donne in gamba, sono tanti gli esempi di bravi viticoltori in Italia e nel Sannio. Semplicemente credo in alcune qualità tipicamente femminili. Le donne hanno maggiore pazienza – di supporto nelle relazioni interpersonali – e una lungimiranza che a volte può fare la differenza. E poi siamo tenaci. Senza dimenticare i vantaggi che può dare il famoso sesto senso femminile.

D. I principali ostacoli del viticoltore italiano oggi?

La burocrazia. In Italia siamo seppelliti da milioni di carte inutili a cui dedichiamo ore ed ore di lavoro. Invece dovremmo dedicare tutti molto più tempo alla comunicazione aziendale e all’export, allo studio delle migliori strategie di marketing internazionale. A strutturarci di più per affrontare i mercati esteri, sia quelli emergenti che quelli tradizionali. In questi mesi, oltre la quotidiana battaglia con la burocrazia, in azienda siamo impegnati in un percorso di ristrutturazione della cantina, amplieremo la bottaia e prevederemo una sala tasting per enoturisti ed appassionati, sia italiani che stranieri, proprio in vista di un’apertura verso progetti di incoming di importatori e buyer specializzati.

D. In base alla tua esperienza all’estero, qual è il gap che il vino sannita deve recuperare?

Non siamo visualizzati geograficamente. La prima cosa che metto in valigia quando vado all’estero è una cartina geografica dell’Italia. Ne deriva che non siamo identificati come “Cantine del Sannio”, non siamo riconosciuti come un brand unico. Diversamente, ne beneficerebbe tutto il territorio e di conseguenza anche i singoli produttori. Dovremmo tutti quanti fare più rete e adottare un comportamento sinergico. In verità in questi ultimi anni sono stati fatti tanti passi in avanti ma molto ancora si può e si deve fare.

D. C’è un vino che può fare da traino per tutto il comparto sannita all’estero?

Ogni mercato fa testo a sè ed ha caratteristiche, preferenze, esigenze diverse. In Germania, ad esempio, si tende ad identificare maggiormente il vino con il produttore. Diventa essenziale quindi andare lì, creare un rapporto umano con l’importatore, dare un volto a quel vino.

Il ruolo di “vino apripista” può appartenere alla falanghina. Ultimamente sta avendo buoni riscontri sui mercati esteri, probabilmente perché incontra meglio le preferenze di importatori e consumatori. Del resto il nostro aglianico si presenta tannico, ruvido, spigoloso, strutturato. Non sempre soddisfa pienamente i gusti degli stranieri, in generale abituati a vini più morbidi e meno alcolici. Le strade a questo punto sono due: o si crea in cantina un aglianico ad immagine e somiglianza del consumatore straniero – stravolgendo le sue peculiarità e perdendo in tipicità – oppure si investe in azioni continue e accurate di promozione. L’aglianico va spiegato e raccontato, chi non è del territorio non può comprenderlo con facilità ecco perché a mio avviso i vini bianchi sono più apprezzati all’estero. Inoltre, sono dell’idea che si potrebbe lavorare molto di più all’estero anche con le “bolle di falanghina” ma, anche qui, paghiamo lo scotto di non avere investito bene in marketing e comunicazione: le bollicine all’estero vengono identificate quasi sempre con il prosecco. Eppure lo spumante di falanghina potrebbe non avere rivali. Ad ogni modo, la strada è ancora lunga ma il Sannio ha tutte le carte in regola e sono certa che avrà il suo ruolo da protagonista nel mondo.