fm1Continuiamo il viaggio nella “letteratura disegnata”: il nostro moderno Ulisse è  Hugo Pratt che ci traghetta in mari avventurosi, ci conduce per terre senza confini e schemi,  alla ricerca di un tesoro che non ci regalerà oro, ma la realizzazione dei sogni, l’unico motivo per cui vale vivere.  Pratt regala al lettore un codice segreto per entrare in un mondo dove la vita e il viaggio si fondono e dove un personaggio come Corto Maltese ci incanta come avventuriero, come pirata e come sorprendente gentiluomo. Una fusione quella di Pratt e Maltese o una simbiosi: passione per il mondo e le sue culture, passione per le terre sconosciute, spiriti liberi, miscela inscindibile tra fantasia e realtà.

Poi Paz, Andrea Pazienza, inventore di storie, testimone dei favolosi e terribili anni 80, dissacratore e insieme custode dei sentimenti più comuni, Dissacratore dicevamo, ma anche  cultore di sentimenti di stima e tenerezza, che naturalmente trasferiva nei sui disegni: Pertini, amato presidente e partigiano, combatte con lui (nomi in codice di Pert e Paz) in disegni fulminanti con risultati altamente espressivi. Unico strumento di lavoro un pennarello nero, non un segno di matita da poter cancellare, perché il disegno era già nella sua mente, pronto, solo da trasferire sulla carta. Andrea Pazienza è stato definito enigmatico, sfuggente, contradditorio, ma si ha invece la sensazione che le mille sfaccettature del suo carattere siano tutte incise nei suoi personaggi; la droga, il disagio, la morte sono l’estensione  del suo malessere, della sua fatica di vivere e se i suoi personaggi sono caricaturali e grotteschi, con tratti ed espressioni di violenza, nelle sue parole troviamo espressioni di poesia, di passioni, insieme a tanta disperazione. E quindi il fumetto in questi ultimi anni è diventato più adulto, e i ragazzi, diventati adulti, continuano a seguire i loro eroi di ragazzi, non più il divertimento per eterni adolescenti, anche se qualcuno continua ancora a nascondere nel quotidiano Tex o Corto Maltese, uscendo dall’edicola, o a spacciarli per letture dei nipoti. Si raggiunge pian piano un maggiore rispetto per il genere, con produzioni veramente mature e significative, con argomenti seri, che trattano eventi storici  e conflitti bellici, come  la serie di Persepolis di Marjane Satrapi. La storia, a fumetti, inizia poco prima della Rivoluzione iraniana, e con gli occhi di Marjane, bambina di nove anni, attraversa il cambiamento del paese, il potere dei fondamentalisti islamici, la riduzione delle libertà e delle speranze, soprattutto delle donne fino alla fuga in Francia di Marjane ormai ventiduenne. Approdato al cinema, candidato all’Oscar, il film ha vinto il Premio della giuria al Festival di Cannes 2007. In effetti anche in Italia i fumetti sono entrati in premi importanti e “seri”. Tra i candidati al Premio Strega del 2014 con “una storia” di Gipi,  e “dimentica il mio nome” di Zerocalcare nel 2015.

E torniamo al Nobel di Dylan.

Perché a Dylan? Il premio quest’anno ha voluto rappresentare  il segnale di una trasformazione dei valori e degli eventi culturali, quasi una riflessione sul significato più nobile e ampio  della cultura e la scelta rappresenta lo specchio dei cambiamenti dei valori universali. La poesia cambia connotazione, origine, motivazione, pubblico forse. I testi di Dylan sono poesia e ci hanno accompagnato nelle strade della nostra vita, li abbiamo non solo cantati, ma anche  recitati, “blowing in the wind” forse è più conosciuta e più volte recitata o cantata o citata che non i versi di ‘Silvia’ o de ‘Il cinque maggio’. Nessuno si scandalizzi se Dylan viene definito poeta, poiché forse la prima forma di poesia veniva cantata, come sappiamo dai tempi di Omero. “A me sfugge il senso di queste remore. Perché non si tratta di dichiarare che le canzoni sono come le poesie, o sono le poesie del nostro tempo, né che i testi di Dylan si possono leggere come si leggono quelli di Montale o di Brodskij; si tratta di prendere nota con gratitudine del fatto che da mezzo secolo a questa parte un nuovo genere è venuto ad arricchire e a complicare il macrogenere che chiamiamo Letteratura. C’è stato un tempo in cui un autore di sonetti non avrebbe vinto il Nobel, perché i sonetti erano considerati nugae; e c’è stato un tempo in cui non lo avrebbe vinto un romanziere, perché i romanzi venivano liquidati come roba per signorine. Le cose cambiano, se sono vive….” (da ‘Dylan’ di Claudio Giunta. Domenicale del Sole 24 ore, 16 ottobre 2016).

E concludiamo con l’opinione di un giovane e affermato Autore di fumetti: Francesco Mucciacito (Campobasso 1982, al momento vive e lavora nel suo paese di origine San Bartolomeo in Galdo, nella valle del Fortore,  pubblica regolarmente per la casa editrice francese “èditions Soleil”, una delle maggiori in terra francofona. Attualmente è al lavoro su un volume della serie Medicis in uscita per la fine del 2017. Sue le illustrazioni in questo articolo): “Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi”. Con questa frase Umberto Eco sdogana il fumetto dalla trincea in cui versava sin dalle origini, quel fumetto che ha sempre sofferto di un’inconscia discriminazione rispetto a forme di comunicazione che, nell’immaginario collettivo, sono stereotipo di cultura e valore letterario. Questo perché il fumetto è sempre stato considerato nei decenni passati, appannaggio delle fasce d’età più piccole o comunque di fasce sociali considerate non istruite e distanti dai salotti buoni. Nelle ultime decadi però, il fumetto ha saputo dimostrare di essere un genere letterario dai contenuti forti, maturi e complessi, assolutamente in grado di competere con le opere letterarie, quelle intese nell’accezione classica del termine. Eh si, lo considero un genere letterario e più precisamente ‘Letteratura disegnata’ come amava definirlo Umberto Eco, che di fumetti si è nutrito, ha scritto articoli e ha amato profondamente.

fm2Le cosiddette Graphic Novel poi, hanno liberato il fumetto dal ghetto in cui con tanto pregiudizio ci si ostinava a relegarlo. Graphic Novel è un termine coniato da Will Eisner per differenziare la sua produzione da un certo punto in poi da quello che egli aveva fatto in precedenza; nel tempo poi,  è divenuto un termine con una connotazione perlopiù commerciale volta in sostanza a mascherare il fumetto al fine di conferirgli una veste più importante e elegante per meglio venderlo a quelle fasce di pubblico che hanno bisogno di un’etichetta per convincersi di avere tra le mani un prodotto di pregio, di valore, di qualcosa che sia importante. La verità è che il cosiddetto fumetto popolare, così come sono considerati Dylan Dog e numerosi suoi colleghi, ci ha regalato opere di indubbio valore e spessore, capolavori assoluti che sono destinati, a mio avviso, a perdurare nel tempo; per restare al solo Dylan Dog: il n°19 – Memorie dall’Invisibile, il n°74 – Il Lungo Addio e il n°81 – Johnny Freak, sono solo alcune delle pietre miliari che andrebbero inserite tra le opere letterarie di pregio, in barba a tante Graphic Novel di mediocre fattura e contenuto. L’assoluta dignità artistica e letteraria del media fumetto è per me indubbia, sia esso il fumetto popolare siano esse le Graphic Novel, se proprio si vuole operare questa distinzione che non amo e non condivido. Si tratta di una mera questione culturale, per restare alla sola Italia, di un retaggio culturale duro a morire, soprattutto nelle fasce di età più adulte che nella fattispecie tendono ancora a considerare il fumetto come un prodotto di serie B. É la qualità delle opere che deve essere premiata, non l’etichetta affibbiatagli per pure ragioni commerciali. È quella la vera distinzione che deve essere operata; e ben vengano le candidature di opere a fumetti al premio Strega e perché no, laddove meritevoli, al Nobel.

Lidia Santoro per CorriereSannita