Nel convegno internazionale sulla ‘Italia Judaica’, tenutosi nel 1995 a Tel Aviv, il grande storico dell’ebraismo in Italia meridionale Cesare Colafemmina, scelse di relazionare sul tema ‘Gli ebrei in Benevento’. Ampiamente attestata in epoca longobarda, la ‘gens Hebraea’ fu attratta dalla “posizione felice della città, in cui l’Appia Antica si biforcava nella Traiana e a cui facevano capo le strade provenienti dalle città del Tirreno e del Sannio”. Lo studioso, tra l’altro, ricordava che opere fondamentali della storiografia ebraica medievale, in particolare quelle di Sefer Yosefon, erano state composte in Benevento, dove sarebbe anche maturata la leggenda del Golem. Un altro storico, Alfredo Zazo, ha ipotizzato l’esistenza di un primo nucleo ebraico in Benevento già ai tempi della costruzione dell’Appia Traiana. Oltre al prestito ad usura, gli ebrei controllavano attività artigianali, come la produzione dei colori destinati all’industria tessile (tincta iudeorum). Un codice provenzale del 1459 rivela la presenza a Benevento di una scuola ebraica di altissimo livello, con la produzione di libri poi venduti a Napoli. Nel XII secolo, il noto viaggiatore Beniamino da Tudela annotava la presenza in una giudecca, un quartiere preferenziale localizzato tra piazza Piano di Corte ed il complesso di Santa Sofia, di duecento ebrei “a capo dei quali vi erano rabbi Qalonimos, rabbi Zerah e rabbi Abraham”. Obbligati dal 1459 a distinguersi col ‘signum’ a seguito di una bolla di Pio II, gli ebrei rimasero in Benevento fino all’espulsione decretata nel 1569 da Pio V e la loro assenza fu molto avvertita sul piano economico. Gli ebrei avevano un loro cimitero, ipotizzato in contrada Cretarossa dopo il ritrovamento nel 1898 dell’epigrafe conservata al Museo del Sannio.
Tre i luoghi cultuali di riferimento, come appare documentato nell’Obituarium Sancti Spiritus compilato nel 1198: S. Nazarius a Judeca (sull’area dell’attuale Piano di Corte), S. Januarius de Judeca (presso Porta Somma) e S. Stephanus de Judeca o S. Stephanus in plano Curie e, infine, Santo Stefano de Neophitis, cioè dei convertiti (nel vicolo di fronte alla basilica di S. Bartolomeo).
Come ricorda il De Nicastro, il sacro edificio era a due navate con due altari e su quello maggiore era venerato il Legno della Croce e la Madonna della Pace, mentre sulla parete destra era collocato S. Stefano e su quella sinistra S. Vito. Danneggiata dal sisma del 1688, la chiesa fu ricostruita ad una sola navata con accanto un campanile, nel quale suonò una campana benedetta dall’Orsini nel 1695 e su cui erano scolpiti S. Stefano, S. Michele arcangelo e S. Bartolomeo.
Il 6 luglio 1866, il Consiglio comunale deliberò di trasferire la predetta parrocchia nella basilica di S. Bartolomeo. Utilizzata prima come deposito e, recentemente, come negozio di cosmesi, la presunta sinagoga, oggi in desolato abbandono, ritorna all’attenzione grazie ad alcune foto postate su facebook dalla Delegazione FAI di Benevento e reclama una più degna destinazione d’uso.
Isidea propone di trasformare quella spoglia navata in un Museo, che racconti a grandi linee la storia dimenticata della presenza ebraica in Benevento, con pannelli illustrativi, documenti e la ricollocazione di quell’epigrafe di messer Samuele, conservata solitaria al Museo del Sannio.