Il 10 febbraio si celebra il ‘Giorno del Ricordo’ in commemorazione delle numerose vittime delle Foibe; nel 2005, proprio il 10 febbraio, il Parlamento italiano decise di dedicare questa giornata in memoria di tutti gli italiani che, vivi o morti, vennero gettati in cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’istria che fra il 1943 e il 1947 sono gettati quasi diecimila italiani, scrivendo così una delle pagine più angoscianti della nostra storia.
A proposito di storia, dunque, ricordiamo che la prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia accadeva che i partigiani slavi si vendicavano contro i fascisti e gli italiani non comunisti ritenuti nemici del popolo’. La violenza, però, aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’istria e le truppe di Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.
Circa questa importante commemorazione nazionale, dunque, citiamo il passaggio saliente di una missiva che Fabio Finotti (docente di Italian Studies presso l’University of Pennsylvania e presso le Università di Trieste e di Pola) ha inviato al Presidente della Provincia di Benevento. Proprio Ricci, tramite la giornalista Enza Nunziato, aveva chiesto al professore una riflessione in occasione della ricorrenza del 10 febbraio. “Non dobbiamo aver paura di ricordare – scrive Finotti – non dobbiamo aver paura di guardare in faccia agli errori dell’umanità, non dobbiamo aver paura di dire no a chi tenta di commetterli di nuovo. Non dobbiamo aver paura di cambiare lo stato delle cose, con l’orgogliosa fiducia di poter lasciare ai nostri figli ricordi migliori di quelli che abbiamo ricevuto dai nostri padri”.
I massacri delle foibe, le deportazioni, gli esìli non incarnavano solo una violenza politica, ma un ideale di pulizia etnica, parallelo a quello che portò al genocidio degli ebrei. Finotti prosegue sostenendo che: “Il modello di nazione che dominava tra Otto e Novecento non accettava la pluralità, ma si basava sull’idea di una comunità totalitaria, perché unita da un unico sangue, un’unica lingua, una sola eredità di tradizioni e di storie. La Jugoslavia, che nasceva alla fine della II Guerra Mondiale, voleva dunque eliminare non solo i potenziali oppositori al comunismo, ma anche la comunità italiana sentita come estranea e sovrapposta al nucleo originario e autoctnono dei popoli slavi”.
Il docente dell’University of Pennsylvania così conclude: “Il giorno del ricordo che oggi celebriamo è dunque un modo per confrontarci con i fantasmi di quel nazionalismo violento che non accetta la diversità, vuole espellere il diverso, pretende di ridurre una comunità a una impossibile omogeneità. Il ricordo è infatti memoria non solo delle tragedie avvenute, ma del cammino che abbiamo fatto perché non si ripetessero. Dobbiamo ricordare i massacri delle foibe per apprezzare la serenità e la pace delle campagne dove oggi italiani e sloveni, italiani e croati si incontrano e si stringono la mano”.
Il Presidente della Provincia Ricci, sottolineando il profilo straordinariamente elevato e denso di valori civili, umani e culturali della riflessione del professore Finotti, il quale nel maggio scorso era stato a Benevento, ha voluto trasmettere la missiva a tutti gli allievi della Secondaria Superiore sannita, auspicando che mai possa essere accantonata la speranza per un mondo fondato sulla pacifica convivenza tra tutte le genti.