Ogni anno a settembre, ormai come un rito, in tv viene trasmesso “Le quattro giornate di Napoli”. L’incontro con Domenico Formato, l’attore che impersonò il piccolo Gennaro Capuozzo, non è programmato, ma è una sorpresa piacevole. Lo guardi e cerchi sul suo volto i segni di passati trascorsi, tra eroismi e incoscienza, come solo in un bambino di dodici anni. Ho l’impressione che in quei giorni della lavorazione del film, il bambino Formato non abbia colto il momento storico, non quello dell’insurrezione della città, ma il “suo” momento storico, che lo avrebbe condizionato per tutta la vita. E lo avrebbe forse “condannato” a raccontare.

Si confondono e si fondono le storie di Gennaro Capuozzo e di Domenico Formato: orfani di padre e un’infanzia molto sofferta, ma niente atti di eroismi (la vita stessa è spesso un atto di eroismo), né, per fortuna, morte prematura per Domenico. Quei giorni della lavorazione del film sono stati per lui determinanti dicevo, continua a ripercorrerli con i suoi ricordi, per tutti quelli che ne sono incuriositi, facendo rivivere personaggi, attori, scene ed episodi che mai vedremo sullo schermo. Nella sua narrazione le vicende si articolano senza uno schema; i personaggi sono realisticamente individuati e inseriti in un contesto descritto con precisione, con riferimenti a situazioni storiche concrete, con attori spesso mitizzati dalla cronaca, che nel suo parlare diventano semplici e umani. Racconta di Lea Massari che lo portò in braccio per diverse centinaia di metri, per sottrarlo alla curiosità della folla, racconta di Regina Bianchi che lo volle come figlio sulla scena. E rivedi il film, quello sguardo del personaggio che coniuga impudenza e innocenza, mentre scorrono le sue parole e i suoi ricordi come i titoli di coda.

Passano le immagini, ma soprattutto l’immagine è ferma e indelebile su quel volto bambino segnato dalle lacrime e dal dolore, in un’impresa più grande di lui. “ Con superbo slancio patriottico, sapeva ritrovare….” questa la motivazione per la medaglia alla memoria. La linea di separazione tra coraggio e incoscienza è sottilissima e il confine è rappresentato dal dolore. Il coraggio prevede la visione del pericolo e la considerazione delle conseguenze, l’incoscienza non prevede ragionamenti razionali: è sfrontatezza pura. Quale sentimento spinse Gennaro Capuozzo? Difficile dirlo, ma certo “ col suo glorioso esempio additava a tutti gli italiani….” Domenico Formato aveva solo dodici anni quando interpretò in maniera straordinaria il personaggio bambino del film. Nessuna scuola di recitazione, nessun metodo Stanislasvskij che utilizza concetti derivanti da stimoli psicologici. Pensandoci bene Nanni Loy lavorò molto sulla psicologia del ragazzo che, almeno all’inizio, pensò a un gioco divertente, divertendosi e ridendo anche quando la scena era fortemente tragica. Ma il regista seppe ottenere i risultati che oggi tutti possiamo riconoscere e apprezzare, chiedendogli, come un secondo padre, di non deludere le sue aspettative. Racconta ancora Domenico e nei suoi racconti Nanni Loy diventa un grande benefattore, un uomo dal cuore grande, che regala alla madre una somma rilevante, colpito dalle condizioni precarie in cui versa la famiglia. 

Né il Golden globe né il Nastro d’argento furono riconoscimenti tanto graditi al piccolo Domenico, quanto il pianto della madre alla proiezione del film al San Marco a Benevento, nella scena della morte di Gennaro Capuozzo per una granata nemica. Il cuore di una madre va oltre la finzione cinematografica, forse non ha limiti terreni. Il mondo del cinema non è ormai più il suo mondo, ma rimane il suo mondo nei ricordi passati ma vivi, nei racconti e nelle parole.

Lidia Santoro per CorriereSannita.it