Riceviamo da Lidia Santoro e pubblichiamo integralmente.
L’impatto che la pandemia ha avuto sulla popolazione, sull’economia, sulla società tutta, è stato inatteso e sconcertante, ma ha anche fornito nuovi spunti di riflessioni e di invenzioni. Sì, inventarsi e rinnovarsi, sperimentare e costruire. Abbiamo fatto di tutto pur di far passare il tempo in giorni uguali, punteggiati da notizie dolorose e da immagini strazianti. Perché non scrivere un diario, catturare i pensieri prima che sfuggano nel tempo? La scrittura aiuta a esorcizzare le angosce del presente così incerto e di un futuro cui non sappiamo dare una forma. E’ facile e liberatorio parlare di se stessi, i ricordi devono solo essere riordinati, sono lì che aspettano di riprendere vita. Certo l’ansia e le paure non rappresentano un ambiente adatto per la creatività, ma se fosse invece una storia scritta a più mani, una storia che si dipana e cresce, un lavoro di amiche segregate e lontane per il covid, eppure capaci di interagire e di confrontarsi e di tramare?
Così nasce Emma e Il tempo sospeso, una storia con personaggi attuali, con le loro abitudini, la vita quotidiana, il passato che ritorna, gli errori e la catarsi. Pubblicato da Mnamon, con il contributo di Auser nazionale, scritto da cinque donne, Adriana Pedicini, Graziella Bergantino, Giuliana Caputo, Giovanna Reveruzzi e Lidia Santoro, un matriarcato narrativo con la revisione e il coordinamento di Adriana Pedicini.
E’ il nostòs, il viaggio e il ritorno insieme, un percorso mai facile, un allontanamento che prevede un cambiamento radicale, fidando nei luoghi dell’anima, i luoghi in cui la protagonista si sente ancora protetta dai familiari, gli amici, le mura della casa dell’infanzia. E’ il viaggio che si trasforma in una dimensione da cui evadere, la distanza dagli affetti mortificanti, dalla quotidianità che è ormai diventata una prigione. Un viaggio che prevede un nuovo assetto emotivo, la ricerca di nuove consuetudini, di rapporti lasciati in sospeso. In realtà la storia di Emma è una storia comune a molte donne: la laurea, il lavoro, il matrimonio, il figlio, rigorosamente in questo ordine, come era consuetudine negli anni passati. Ma il passare del tempo ha reso il rapporto col marito un’abitudine noiosa e poco stimolante. Emma vede in lui un interlocutore poco empatico, chiuso a qualsiasi operazione introspettiva, ogni tentativo di rinascita trova ostacoli insormontabili, sembra che gli stimoli e le richieste che lei gli offre siano considerati una seccatura che lo distraggono dalle sue comode e indiscusse abitudini. Anche il rapporto col figlio non è sereno: egli vive in un mondo di incertezze e di dubbi, in cui le figure genitoriali non rappresentano più un punto di riferimento. Percepisce la crisi dei genitori, apparentemente senza partecipare, né parteggiare. Il loro rapporto si esprime con silenzi lunghi e significativi. Complice la pandemia e la quarantena, Emma sente che deve fuggire da se stessa e dai suoi affetti, rintracciando, tra le pagine dell’età, amici e corteggiatori, illudendosi di poter ritrovare una nuova primavera. Ma le orme del suo passato sono ormai in parte sbiadite e forse cancellate da altri passi. Le relazioni giovani hanno l’aspetto di tranquillanti che Emma ha deciso di assumere, allo scopo di essere più serena. Non sono i sensi di colpa a farle percorrere il cammino a ritroso, ma la consapevolezza di voler recuperare un rapporto comunque sano e da ricostruire. Emma ritrova il figlio, il suo affetto e la sua vicinanza: quel tempo sospeso ha ridato nuova vita al loro rapporto. In una sorta di analisi introspettiva il giovane ricostruisce la sua relazione con i genitori, con accuse, confessioni, confronti e ricerca di verità. E’ ormai un adulto consapevole che indaga sulle proprie responsabilità, che presto dovrà affrontare anche in maniera drammatica.
In questo interessante lavoro a cinque mani la trama si è formata piano piano, ognuna delle autrici riattaccandosi all’ultimo lavoro, non uniformandosi, ma conservando il senso del racconto, dell’ambiente e dei personaggi, cercando uno stile e un’espressione comune. Cinque donne dicevo, con l’irruzione fresca e giovanile di Giulio Maria Miele, che ha impersonato il figlio, col suo disagio giovanile, confessandosi e ascoltandosi, inserendosi adeguatamente, con una tempistica perfetta, con empatia e sensibilità, donando a tutto il romanzo una pensosa leggerezza calviniana.